Titolo originale: Breve storia del talento
Autore: Enrico Macioci
1ª ed. originale: 2015
Data di pubblicazione: 3 marzo 2015
Genere: Romanzo
Sottogenere: Formazione
Editore: Mondadori
Collana: Scrittori italiani e stranieri
Pagine: 153
Enrico Macioci è nato all’Aquila nel 1975. Si è laureato in Giurisprudenza con una tesi di diritto tributario e in Lettere Moderne con una tesi su Cuore di tenebra di Conrad. Ha pubblicato Terremoto (Terre di mezzo, 2010), La dissoluzione familiare (Indiana, 2013) e Breve storia del talento (Mondadori, 2015). Collabora con “la Repubblica”.
2010 - Terre di Mezzo
2012 - La dissoluzione familiare
2015 - Breve storia del talento
2017 - Lettera d'amore allo Yeti
È il primo giorno dell'estate del 1990. Due giorni prima Roberto Baggio allo Stadio Olimpico di Roma aveva segnato alla Cecoslovacchia uno dei gol più belli e indimenticabili della sua carriera. Ma lontano dalle notti magiche dei Mondiali, in un campo di terra in una periferia residenziale dell'Aquila, quel 21 giugno del 1990, Michele, "il grande Michele", realizza tre gol diversi meravigliosi, tre gol più belli di quello, bellissimo, di Baggio. Lo fa davanti agli occhi ammirati e impotenti del narratore di questo romanzo, che gioca bene a calcio, ma non quanto Michele, il suo imbattibile rivale. È l'ultima estate dell'infanzia, il momento della vita in cui si smette di abitare l'infinito e ci si accorge dei propri limiti. Questo è, per il narratore, la scoperta del superiore talento di Michele: "la scoperta del limite e quindi la scoperta della morte e della vita". Perché "non c'è abbastanza spazio nel medesimo tempo e nel medesimo luogo per due abbastanza bravi nella medesima cosa; uno dei due deve cedere". Anni dopo il narratore, che ormai ha abbandonato da tempo l'Aquila e il condominio Prato Verde, tornerà per vedere che ne è stato di quell'estate, di Miriam, il suo primo amore, dell'anticonvenzionale padre Lucky e soprattutto cosa è successo al grande Michele, il cui talento non ha mai visto brillare negli stadi della serie A.
Incipit:
I
Il primo gol lo fece così: era a cinque o sei metri dalla porta, di spalle; alle sue spalle c’ero io; lo marcavo stretto, lo pressavo e gli tenevo le mani sulla schiena, colpendo con le mie ginocchia le sue cosce in una danza antica; le mie mani scivolavano sul tessuto liscio della sua maglia azzurra; sentivo il suo profumo salire da sotto la maglia, un poco acre, vagamente selvatico, un profumo di giungla, di predatore più che di preda; registravo ogni cosa, vedevo la sua nuca sudata, i capelli corti e scurissimi spuntare dalla cute uno per uno, e perfino qualche gocciolina sui pori. Il pallone – un Etrusco bianco a rombi neri, neri solo i contorni, l’interno dei rombi bianco – rimbalzava sul cemento del campetto, zeppo di crepe e sputi fossili; si sollevava di due palmi e ricadeva, si sollevava d’un palmo e mezzo e ricadeva, pàc, pàc, una campana a morto, una sentenza; gli altri stavano ai margini, forme indistinte sul ciglio della mia visuale, condannate allo spettacolo; due erano gli attori, uno sarebbe stato il protagonista; il sole batteva la periferia, attutito dal vento fresco del pomeriggio, rifrangendosi sulle foglie e le ringhiere, una sinfonia ottica; tutto era inizio ma già fine.
Provate ad immaginare la vostra vita come una lunga partita di calcio: immaginate di entrare in campo, di iniziare a rincorrere la palla, poi di riuscire a farla vostra. Correte con la palla che attende i vostri piedi, dribblate, avanzate, scartate, raggirate l’ostacolo. Ci siete quasi, siete vicini alla porta, state per fare gol e via, qualcuno riesce a rubarvi il pallone.
Perché in fondo è così la vita, proprio come ce la descrive Enrico Macioci: imprevedibile, veloce, scattante. Un gioco d’abilità, d’istinti e di talenti, come il gioco del calcio.
E se a sfidare la vita è Michele, il ragazzo prodigio che con il pallone non gioca, ma fa magie, allora avrete fra le mani un vero e proprio pezzo di esistenza, un amalgama di colori, odori e sapori che sfileranno davanti ai vostri occhi in una danza tanto appassionata quanto macabra, vibrante d’inquietudine.
Stiamo parlando di quel pezzo di esistenza racchiuso in Breve storia del talento , l’ultimo romanzo di Enrico Macioci (Mondadori, 2015), un testo asciutto, essenziale, che vi metterà faccia a faccia con l’età più crudele della vita di un uomo: l’adolescenza.
Quella che lo scrittore aquilano delinea in queste pagine è una storia che contiene altre storie, una grande cassapanca in cui sono conservate tutte le esistenze che, intrecciandosi tra loro, formano una tela di ricordi, immagini ed esperienze da raccontare a chi vorrà ascoltarvi. È un romanzo di tutti, quelli di Macioci, un romanzo che parla per sé e urla alla collettività, ruggendo contro gli anni più difficili, quelli in cui ci si affaccia alla vita e la vita ci appare più ostinata che mai.
Due ragazzi, Michele e la voce narrante del romanzo, 14 anni l’uno 13 l’altro, condominio Prato Verde. Un cortile, un pallone, un’amicizia. Michele, un giovanotto che viene da una terra lontana, la Colombia, parla poco del suo passato, impegnato com’è a sottomettere la palla che tra i suoi piedi diventa una scheggia, un barlume di luce difficile da catturare. Michele è il talento fatto persona: silenzioso, volitivo, deciso a fare centro, eppure così dolce, premuroso, paterno quasi nei confronti del protagonista narrante, il ragazzo incerto e un po’ timoroso, promessa del calcio fino all’arrivo di Michele. Poche certezze sbriciolate a suon di gol, quelli di Michele, i migliori gol di quel 21 giugno 1990, migliori persino di quelli del mitico Baggio.
È così che nasce l’amicizia, tra una pacca sulla spalla, un gesto di rabbia e qualche lacrima di delusione, subito rinfrancata dall’entusiasmo di anni acerbi, eppure così maturi di fronte alla terribilità della vita.
È racchiuso qui, in queste pagine di vita e di morte, di rincorsa e di atmosfere sonnolente, di attimi mancati e di felicità sbrindellate, tutto il senso caparbio della vita a quindici anni. Un significato che vuole emergere, con prepotenza, all’ombra di estati roventi e curiose, estati di un’adolescenza che ha quasi le fattezze dell’Apocalisse, per chi la osserva da vicino, per chi la tocca con mano. L’animo, ancora puro, di giovani che hanno scavalcato il recinto dell’infanzia e proseguono la loro strada nel bosco degli anni feroci, accoglie la Verità e se ne fa portavoce, in modo schietto, audace.
Michele, Miriam, Valeria, Luigi, Giacomo, Padre Lucky: questi sono alcuni dei personaggi che Enrico Macioci tratteggia in Breve storia del talento , aiutandoli a venir fuori in tutta la loro sincerità. La crudeltà di un rifiuto, la banalità di “No” che brucia, la leggerezza di un bacio che tradisce i pensieri e le illusioni: sono questi gli ingredienti che fanno dell’adolescenza una testimonianza di amarezza e passionalità.
Una su tutte, però, che da tempo ha abbandonato i sentieri dell’età ancora non fertile, è la figura che troneggia proprio al centro del romanzo: Padre Lucky. Parroco insolito, coraggioso, che sfida l’ipocrisia del mondo moderno e si approssima, con coraggio rivelato, alle parole del Cristo Redentore.
“La rabbia e il panico espressi da Padre Lucky per la perdita di Luigi erano stati generalmente condivisi, avevano toccato corde universali ed erano andati a scoperchiare le angosce più atroci”.
Questo fa Padre Lucky: nel mare magnum dell’inconsistenza minacciosa di una realtà borghese e meschina, alza le mani al cielo e dà voce a ciò che si dovrebbe tacere. Scoperchia gli altarini, regala un attimo di autenticità alle menti stanche dei fedeli: Dio ha sottratto alla terra uno dei suoi angeli, così giovane, così scapestrato. E forse questo Dio non è così buono come crediamo, forse questo Dio non c’entra niente con noi, col nostro destino di uomini infranti.
Morte, energia vitale, dolore, gioia, angosce e paure, lacerazioni dell’animo ed emozioni accartocciate all’angolo del cortile del condominio Prato Verde, quello in cui il ragazzino titubante, amico del grande Michele tornerà anni dopo, quando il peggio sembra passato e le case arrancano sotto i colpi della vecchiaia. Tornerà lì, a cercare Michele, la personificazione del Talento che non riesce a fare gol per sé, non riesce a tirare la palla nella porta della sua Vita. Un colpo mancato quello di Michele, che si ritroverà dietro il bancone di un bar, ingrassato e stanco.
In Breve storia del talento Enrico Macioci si dimostra abile scultore nel delineare un percorso formativo che riscopre, assaporandole ad una ad una, tutte le tappe della vita di un uomo che si forma negli anni dell’adolescenza, gli anni cocenti e terribili della gioventù. In un caleidoscopio di riflessioni, di profonde considerazioni sul Tempo che viviamo, che ci rincorre senza scampo, sulla Morte, non necessariamente antagonista della vita, ma forse quasi propedeutica ad essa, sulla capacità di gestire le sensazioni e di indirizzarle in quello stretto canale che chiamiamo Esistenza, Macioci si rivela autore dell’individuo, dell’uomo che sorge e cresce nella naturale imprevedibilità del mondo reale.