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Titolo originale: Il giorno della civetta
Autore: Leonardo Sciascia
1ª ed. originale: 1961
Data di Pubblicazione: 20 febbraio 2002
Genere: Romanzo
Sottogenere: Poliziesco
Editore: Adelphi
Collana: Gli Adelphi
Edizione: 10
Pagine: 137
Reparto: Narrativa italiana






Leonardo Sciascia nasce a Recalmuto, nell’entroterra agrigentino, l’8 gennaio 1921. La madre viene da una famiglia di artigiani, il padre è impiegato in una delle miniere di zolfo della zona. Nel 1935 si trasferisce a Caltanissetta con la famiglia e si iscrive all’Istituto Magistrale "IX Maggio", nel quale insegna Vitaliano Brancati. Lo scrittore diventa per Sciascia un modello, mentre all’incontro con il giovane insegnante Giuseppe Granata (futuro senatore del PCI) Sciascia riconosce la scoperta degli illuministi e della letteratura americana.
E’ del 1952 la pubblicazione del "primo lemma di Leonardo Sciascia" (Scalia): si tratta di Favole della dittatura, ventisette testi brevi di prosa assai studiata. Sempre nel 1952, esce la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore, illustrata con disegni dello scultore catanese Emilio Greco. Sciascia vince nel 1953 il premio Pirandello per un suo importante intervento critico sull’autore di Girgenti (Pirandello e il pirandellismo).
Dal 1954 si trova alla direzione di «Galleria» e di «I quaderni di Galleria», riviste antologiche dedicate alla letteratura ed agli studi etnologici. Frequenta in quegli anni la Caltanissetta di Luigi Monaco e del suo omonimo Salvatore Sciascia, ricavandone forti stimoli che si traducono in frequenti collaborazioni con diversi giornali e riviste letterarie. Nel 1956 esce il primo libro di rilievo Le parrocchie di Ragalpetra, a cui seguono nell’autunno del ’58 i tre racconti della raccolta Gli zii di Sicilia: La zia d’America, Il quarantotto e La morte di Stalin. Del 1961 è invece Il giorno della civetta, il romanzo sulla mafia che porterà a Sciascia la maggior parte della sua celebrità.
Oltre a Il consiglio d’Egitto (1963), gli anni Sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati proprio alle ricerche storiche sulla cultura siciliana: A ciascuno il suo (1966), un libro bene accolto dagli intellettuali e da cui Elio Petri ha tratto un film nel 1967; e Morte dell’Inquisitore (1967), che prende spunto dalla figura dell’eretico siciliano Fra Diego La Matina. Il 1970 è l’anno dell’uscita de La corda pazza, una raccolta di saggi su cose siciliane nella quale l’autore chiarisce la propria idea di "sicilitudine" e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Il 1971 è l’anno de Il contesto, libro destinato a destare una serie di polemiche, più politiche che estetiche, alle quali Sciascia si rifiuta di partecipare ritirando la candidatura del romanzo al premio Campiello. Tuttavia si fa sempre più forte la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera: gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971), I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978) ne sono un esempio.
Nel 1974, nel clima del referendum sul divorzio e della sconfitta politica dei cattolici, nasce Todo modo, un libro che parla "di cattolici che fanno politica" (Sciascia) e che viene naturalmente stroncato dalle gerarchie ecclesiastiche. Nel 1977 esce Candido. Ovvero, un sogno fatto in Sicilia.
Dalla collaborazione con la casa editrice Sellerio di Palermo origina una collana chiamata "La memoria", che si apre con un suo libro, Dalle parte degli infedeli (1979), e che con le sue Cronachette festeggia nel 1985 la centesima pubblicazione.
Carichi di dolenti inflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli Porte aperte (1987), Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (in libreria il giorno stesso della sua morte), in cui si scorgono tracce di una ricerca narrativa all'altezza della difficile e confusa situazione italiana di quegli anni.
Pochi mesi prima di morire pubblica Alfabeto pirandelliano, A futura memoria (pubblicato postumo), e Fatti diversi di storia letteraria e civile edito da Sellerio. Opere nelle quali si ritrovano le principali tematiche della produzione sciasciana, dalla "sicilitudine" a quell’impegno civile che lo aveva caratterizzato lungo tutta la sua vita intellettuale, di cui rimane una testimonianza anche nelle numerose interviste rilasciate durante tre decenni della storia nazionale italiana.
Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989.




1950 • Favole della dittatura, Bardi, Roma.
1952 • La Sicilia, il suo cuore, Bardi, Roma.
1953 • Pirandello e il pirandellismo, Salvatore Sciascia, Caltanissetta.
1956 • Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari.
1958 • Gli zii di Sicilia, Einaudi, Torino (con "L'Antimonio" a partire dal 1960).
1961 • Il giorno della civetta, Einaudi, Torino.
1961 • Pirandello e la Sicilia, Salvatore Sciascia, Caltanissetta.
1963 • Il Consiglio d'Egitto, Einaudi, Torino.
1964 • Morte dell'inquisitore, Laterza, Bari.
1965 • L'onorevole, Einaudi, Torino.
1966 • A ciascuno il suo, Einaudi, Torino.
1969 • Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., Einaudi, Torino.
1970 • La corda pazza, Einaudi, Torino
1971 • Il contesto, Einaudi, Torino.
1971 • Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, ESSE (Sellerio), Palermo.
1973 • Il mare colore del vino, Einaudi, Torino.
1974 • Todo modo, Einaudi, Torino.
1975 • La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino.
1976 • I pugnalatori, Einaudi, Torino.
1977 • Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia, Einaudi, Torino.
1978 • L'affaire Moro, Sellerio, Palermo.
1979 • Nero su nero, Einaudi, Torino.
1979 • Dalle parti degli infedeli, Sellerio, Palermo.
1981 • Il teatro della memoria, Einaudi, Torino.
1982 • La sentenza memorabile, Sellerio, Palermo.
1982 • Kermesse, Sellerio, Palermo, (poi "Occhio di capra", Einaudi, Torino, 1984).
1983 • Cruciverba, Einaudi, Torino.
1984 • Stendhal e la Sicilia, Sellerio, Palermo.
1985 • Cronachette, Sellerio, Palermo.
1985 • Per un ritratto dello scrittore da giovane, Sellerio, Palermo.
1986 • La strega e il capitano, Bompiani, Milano.
1986 • 1912+1, Adelphi, Milano.
1987 • Porte aperte, Adelphi, Milano.
1987 • Il cavaliere e la morte, Adelphi, Milano.
1988 • Ore di Spagna, Pungitopo, Marina di Patti.
1989 • Alfabeto pirandelliano, Adelphi, Milano.
1989 • Una storia semplice, Adelphi, Milano.
1989 • Fatti diversi di storia letteraria e civile, Sellerio, Palermo.
1989 • A futura memoria, Bompiani, Milano.
Libri-intervista
1979 • La Sicilia come metafora, Mondadori, Milano.
1981 • Conversazione in una stanza chiusa, Sperling & Kupfer, Milano.
1981 • La palma va al Nord, Quaderni radicali, Roma.
1992 • Fuoco all'anima, Mondadori, Milano.
Antologie a cura di Leonardo Sciascia
1952 • Il fiore della poesia romanesca (prefazione di Pier Paolo Pasolini), Salvatore Sciascia, Caltanissetta.
1967 • Narratori di Sicilia (con Salvatore Guglielmino), Mursia, Milano.
1980, 1982, 1984, 1986 • Delle cose di Sicilia (4voll.), Sellerio, Palermo




Ci troviamo in un paese dell'hinterland palermitano dove viene ucciso Salvatore Colasberna, modesto impresario edile. Contemporaneamente scompare Paolo Nicolosi, di professione potatore. Il capitano Bellodi, giovane ufficiale dei carabinieri originario di Parma, affronta, assieme al maresciallo Ferlisi, la situazione con intelligenza e lucidità. Connette i fatti, fiuta l'angoscia della vedova Nicolosi, scarta la pista passionale, blandisce il confidente Parrinieddu. Da lui ottiene un nome e, in articulo mortis, una confessione epistolare. Il romanzo non ha dato neppure il tempo di far metter comodi i lettori che ecco bell'e serviti tre colpevoli per tre omicidi: Diego Marchica detto Zicchinetta, Rosario Pizzuco già fiancheggiatore del separatista Giuliano e, soprattutto, Don Mariano Arena, «galantuomo» di paesana saggezza e provate amicizie, uno peraltro a cui «non mancava niente, dalla a di abigeato alla z di zuffa». Confessioni e ritrattazioni, considerazioni fuori campo e voci di corridoi nei Palazzi romani, preparano poco a poco «l'iliade di guai» che finirà per annullare l'inchiesta. Scarcerati i colpevoli, trasferito il maresciallo Ferlisi, Bellodi, spedito in licenza a casa, è colto, mentre scorrono i titoli di coda, «nell'indolente sera di Parma» a passeggiare con l'amico Brescianelli, a riflettere sul suo allontanamento e a promettere, soprattutto alla sua coscienza di ex partigiano e «servitore di Stato», un prossimo ritorno in Sicilia.

Incipit:
L'autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell'alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell'autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante ed ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l'autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L'ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l'uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all'autista «un momento» e aprì lo sportello mentre l'autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l'uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.
Il bigliettaio bestemmiò: la faccia gli era diventata colore di zolfo, tremava. Il venditore di panelle, che era a tre metri dall'uomo caduto, muovendosi come un granchio cominciò ad allontanarsi verso la porta della chiesa. Nell'autobus nessuno si mosse, l'autista era come impietrito, la destra sulla leva del freno e la sinistra sul volante. Il bigliettaio guardò tutte quelle facce che sembravano facce di ciechi, senza sguardo disse «l'hanno ammazzato» si levò il berretto e freneticamente cominciò a passarsi la mano tra i capelli; bestemmiò ancora.
«I carabinieri» disse l'autista «bisogna chiamare i carabinieri».
Si alzò ed aprì l'altro sportello «ci vado» disse al bigliettaio.
Il bigliettaio guardava il morto e poi i viaggiatori. C'erano anche donne sull'autobus, vecchie che ogni mattina portavano sacchi di tela bianca, pesantissimi, e ceste piene di uova; le loro vesti stingevano odore di trigonella, di stallatico, di legna bruciata; di solito la stimavano e imprecavano, ora stavano in silenzio, le facce come dissepolte da un silenzio di secoli.
«Chi è?» domandò il bigliettaio indicando il morto.
Nessuno rispose. Il bigliettaio bestemmiò, era un bestemmiatore di fama tra viaggiatori di quella autolinea, bestemmiava con estro: già gli avevano minacciato licenziamento, che tale era il suo vizio alla bestemmia da non far caso alla presenza di preti e monache sull'autobus. Era della provincia di Siracusa, in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica: una stupida provincia, quella di Siracusa; perciò con più furore del solito bestemmiava.




Il giorno della civetta è il primo romanzo «giallo» pubblicato da Sciascia. È il suo libro più famoso e più venduto, il primo a essere tradotto all'estero, a godere l'onore e l'onere di versioni teatrali e cinematografiche, a muovere entusiaste «calviniane» recensioni o interessate e malaccorte stroncature. Edito nel 1961 ha il vezzo dell'anticipazione storica e il pregio dell'azzardo letterario. Lo scrittore di Racalmuto, quando di certi «garbugli» si sussurrava appena o il cardinal Ruffini li liquidava come «un'invenzione dei comunisti», mette in prosa la mafia e la sua modernità. Così non l'avevano trattata De Roberto e Pirandello, agrigentino anch'egli. Verga e Capuana non s'erano accorti che esistesse, mentre Brancati volutamente l'aveva trascurata. Altri, dialettali minori, ne avevano dato ritratti vagamente apologetici. Sciascia invece ne fa motivo d'ispirazione civile e morale, di ricerca esistenziale nonchè fonte inesauribile di risorse narrative. E lo fa prediligendo spesso la forma descrittiva del giallo.
Genere letterario di altissimo profilo quello che scaturisce dalla prosa di Sciascia. Sganciato dall'ansia della trama, indifferente ai canoni della logica aristotelica, l'intreccio narrativo in lui sfugge la mannaia della sintesi finale, fa d'ogni conclusione un nuovo punto di partenza, d'ogni certezza acclarata un dubbio, d'ogni esito manifesto una sfida per la ragione.
Ben altro infatti è lo spessore indagatore di Sciascia. Ben diverso il suo modo di distinguere il vero e il presunto nelle cose del mondo. Ben profondo il suo senso di giustizia e che lo porterà negli anni a rintracciare storie, ripercorrere biografie disperse o scontate risultanze processuali già liquidate in Cassazione. Una laica e motivata ansia narrativa è quella che muove i suoi passi.
E di sciasciane virtù brilla appieno Il giorno della civetta. «Giallo che non è un giallo» per Calvino, «smontato» e inconsueto, certamente mediterraneo, lontano mari e monti dalla tradizione anglosassone, forte d'un racconto che scorre in piena luce, tra fatti subito svelati e privatissimi legami, in una Sicilia appunto dove, ancora Calvino, «...tutto è limpido, cristallino: le più tormentose passioni, i più oscuri interessi, psicologia, pettegolezzi, delitti, lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è ormai classificato e catalogato...» ma dove, come nella migliore partita di scacchi, tutto è da narrare e scoprire.
Romanzo amaro, giallo inconsueto, dicevamo, profondamente laico e anticipatore. Romanzo di forti contrapposizioni però e deciso a suscitarne di altrettante forti e motivate. C'è contrapposizione di caratteri tra i personaggi. Contrapposizione tra chi pensa ai «metodi forti dei tempi di Mori» e chi, come il capitano Bellodi, li rifiuta. Contrapposizione tra chi vede la mafia e chi la nega. Contrapposizione di «uomini e non», anzi per dirla con le categorie di Don Arena, di «uomini e mezz'uomini, di ominicchi, piglianculo e quaquaraquà». Contrapposizione infine tra Italie diverse, a Sud e a Nord della «linea della palma», fotografate all'alba d'un miracolo economico già denso di poteri occulti e speranze disattese.
Su tutto scorre la penna fertile del quarantenne Sciascia. Disilluso forse, disincantato e tenace, tutt'altro che arrendevole e pessimista. Uomo lui stesso di forti contrapposizioni e animosità, sin da questa sua «opera prima», seppe attirarsi accuse di tutt'altro genere. Accuse affinate negli anni, esplose ai tempi de L'affaire Moro, ribadite perfino l'indomani della sua scomparsa. «Mafiosità simpatica di Sciascia» (Sebastiano Vassalli), «scetticismo inattivo» (Eugenio Scalfari), «nicodemismo vile» (Giorgio Amendola) e via via cantando. Senza esplodere nell'invettiva con Camilleri («Vassalli.. un perfetto imbecille» La Stampa 02/10/2000) ci basta rileggere romanzi come Il giorno della civetta per riflettere e sorriderci sopra o gridare forte, come nei nostri anni migliori, che «Sciascia è vivo e lotta assieme a noi!».





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