Titolo originale: Мастер и Маргарита
Titolo italiano: Il maestro e Margherita
Autore: Michail Afanas’evic Bulgakov
1ª ed. originale: 1966-1967
Data di pubblicazione: 2002
Genere: Romanzo
Sottogenere: Fantasy, grottesco, satirico
Edizione speciale per "La Repubblica"
Collana: Novecento
Traduzione: Vera Dridso
Pagine:448
Michail Afanas’evic Bulgakov nacque a Kiev nel 1891 e morì a Mosca nel 1940. Laureatosi in medicina nel 1916, esercitò la professione fino al 1920, quando decise di dedicarsi completamente alla letteratura e al teatro, nonostante le difficoltà incontrate con la censura sovietica. Nel 1921 si trasferì a Mosca, dove intraprese varie collaborazioni giornalistiche e cominciò a pubblicare i primi racconti e romanzi brevi, dedicandosi nel frattempo alla drammaturgia. La pièce teatrale I giorni dei Turbin, rappresentata per la prima volta nel 1926, ottiene un clamoroso successo, che nel 1930 indurrà Stalin, nonostante l’autore avesse già subìto numerose perquisizioni e sequestri, ad appoggiare l’assunzione di Bulgakov al Teatro d’Arte di Mosca in qualità di aiuto-regista. Dimessosi nel 1936, attenderà alla stesura del Maestro e Margherita fino alla morte. Viste le traversie dello scrittore con la censura sovietica, la storia editoriale delle sue opere è particolarmente complessa. Basterà qui dire che fra il 1922 e il 1927 Bulgakov scrisse i racconti riuniti in Ricordi di un giovane medico, Morfina e altri racconti, Appunti sui polsini, oltre a Il n.13, Una storia cinese, Le avventure di ?i?ikov. Allo stesso periodo risalgono il romanzo La guardia bianca, i racconti lunghi Diavoleide, Le uova fatali, Cuore di cane, nonché le commedie L’appartamento di Zoja e I giorni dei Turbin. Fra il 1928 e il 1936 Bulgakov si dedica soprattutto al teatro, con i drammi, spesso non rappresentati per problemi di censura, L’isola purpurea (1928), La fuga (1929), La cabala dei devoti (1930, poi intitolata Molière), Adamo ed Eva (1931), Beatitudine (1934), Aleksandr Puškin (1935), Ivan Vasil’evi? (1935). Nel 1933 aveva terminato la Vita del signor de Molière, e nel 1936 completa Romanzo teatrale, per poi dedicarsi alla stesura, ultimata pochi giorni prima di morire, de Il Maestro e Margherita, ideato, intrapreso e più volte interrotto a partire dal 1926.
Opere di Michail A. Bulgakov pubblicate in Italia:
1929 - La guardia bianca
1931 - Uova fatali
1966 - Romanzo teatrale
1967 - Il Maestro e Margherita
1967 - Cuore di cane
1968 - L’isola purpurea o L’isola rossa
1968 - I giorni dei Turbin; Ivan Vasil’evic; La corsa
1968 - Teatro (I giorni dei Turbin; La corsa; L’isola purpurea ; Beatitudine; Ultimi giorni (Puskin); Ivan Vasil’evic; La cabala dei bigotti (Moliere); Don Chisciotte)
1969 - Vita del signor di Moliere
1970 - Racconti
1971 - L’appartamento di Zoja; Adamo e Eva
1974 - I racconti di un giovane medico
1976 - Diavoleide o Diaboliade o Diavoleria
1978 - Appunti sui polsini
1980 - Feuilletons
1988 - Morfina
1990 - Ho ucciso e altri racconti
1990 - Lettere a Stalin, Enukidze e Gorkij
1991 - Il grande cancelliere e altri inediti
1993 - Diorama moscovita (Mosca dalle pietre rosse ; La coppa della vita ; La capitale nel blocknotes)
1994 - Piccola prosa
Nota:
L’anno fa riferimento alla pubblicazione in Italia
“Il Maestro e Margherita” è ambientato a Mosca che vive i suoi anni sotto il potere di Stalin. La città è piena di uomini ipocriti ma soprattutto di truffatori. In questo ambiente ostile, entra in scena Satana che giunge sulla terra fingendosi un esperto della magia nera.
Woland, questo il nome di Satana, con il suo modo di fare sconvolge l’ambiente del teatro ma anche dell’editoria. Mette in scena i suoi atti di disonestà e i suoi soprusi, mostrando a tutti quando poco ci sia di puro nella vita.
C’è solo un individuo che è immune dalle magie di Woland: il Maestro, il reale protagonista de “Il Maestro e Margherita”. Lui è uno scrittore e questo è un periodo complicato per lui, poiché tutti gli editori non vogliono pubblicare il suo romanzo. Inoltre la sua storia con Margherita, la sua amata, è diventata complicata. Lei non prova più lo stesso amore di prima per il Maestro.
Woland decide così di aiutare il Maestro, ma lo scrittore in un impeto di follia decide il suo romanzo e viene rinchiuso in un manicomio, intanto la sua amato lo crede morto e Woland farà di tutto per farli rincontrare. Ma c’è un finale inaspettato che rende “Il Maestro e Margherita” un romanzo spettacolare, un capolavoro che non tutti però amano per la sua complessità e il linguaggio un po’ ostico.
Incipit:
PARTE PRIMA
Capitolo primo
Non parlate mai con gli sconosciuti
Nell’ora di un afoso tramonto primaverile comparvero ai Patriaršie prudy2 due cittadini. Il primo, vicino ai quarant’anni, vestito di un completo estivo grigio chiaro, era piccolo di statura, bruno, ben nutrito, calvo e teneva in mano come fosse una torta il suo elegante cappello, ma sul suo viso, accuratamente rasato, non mancava un paio di occhiali di grandezza sovrannaturale, con una montatura di corno nera. Il secondo, un giovane arruffato, largo di spalle, con i capelli rossicci e un berretto a quadretti di sghembo sulla nuca, aveva una camicia a scacchi, una cowboyka, pantaloni bianchi gualciti e scarpe nere leggere.
Il primo altri non era che Michail Aleksandrovič Berlioz,3 direttore di una corposa rivista di arti e lettere, e presidente del direttivo di una delle associazioni letterarie più importanti di Mosca, chiamata con l’abbreviazione di Massolit.4 Il suo giovane compagno di passeggiata era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv,5 che scriveva sotto lo pseudonimo di Bezdomnyj.
Arrivati all’ombra dei tigli appena verdeggianti, gli scrittori, come primo imperativo, si affrettarono verso un chiosco dipinto a colori vivaci, con la scritta BIRRA E ACQUE.
Sì, bisogna rilevare la prima stranezza di quella terribile sera di maggio. Non solo al chiosco, ma lungo tutto il viale parallelo alla Malaja Bronnaja, non si vedeva una sola persona. In quell’ora, quando ormai sembrava di non avere nemmeno la forza di respirare, quando il sole, dopo aver bruciato Mosca, si inabissava lontano oltre l’anello dei giardini, il Sadovoe kol’co, in una caligine secca, nessuno era venuto a passeggiare sotto i tigli, nessuno si sedeva sulle panchine, e il viale era deserto.
“Mi dia un’acqua di Narzan,”6 chiese Berlioz.
“Non l’ho di Narzan,” rispose la donna del chiosco e, senza motivo, si offese.
“C’è della birra?” si informò Bezdomnyj, con la voce arrochita.
“La birra la consegnano di sera,” rispose la donna.
“Allora che cosa c’è?” chiese Berlioz.
“Acqua al sapore di albicocca, ma è tiepida,” disse la donna.
“Va bene, va bene, ce la dia!...”
L’acqua all’albicocca, versata nei bicchieri, produsse un’abbondante schiuma gialla, e nell’aria si sparse l’odore di un negozio da parrucchiere. Appena ebbero finito di bere, ai letterati venne il singhiozzo, pagarono e andarono a sedersi sulla panchina: faccia allo stagno, spalle alla Bronnaja.
E qui si manifestò la seconda stranezza, che coinvolse, però, il solo Berlioz. All’improvviso smise di avere il singhiozzo, il suo cuore diede un ultimo battito e precipitò nel nulla, poi si riaffacciò alla vita, ma come trafitto da un ago spuntato. Berlioz fu anche assalito da una paura ingiustificata, ma terribile, tanto che sarebbe voluto fuggire immediatamente dai Patriaršie, senza voltarsi.
Ultimato da Bulgakov nel 1940, pochi giorni prima che lo scrittore morisse, Il Maestro e Margherita vide la luce solo nel 1966, nel clima di timido disgelo che nella cultura sovietica si accompagnava a un’altrettanto timida “destalinizzazione” politica. E il mondo intero ebbe immediatamente cognizione di quanto fino a quel momento gli era stato arbitrariamente sottratto. Il romanzo, infatti, era ben più di un semplice pamphlet satirico contro il regime stalinista, la cui persecuzione sarebbe stata presto archiviata come l'ennesima stupida oppressione della libertà di pensiero nell’Urss postbellica; era, invece, un capolavoro nel quale la fantasia, l’ironia, la satira sociale e politica, le inquietudini metafisiche, i conflitti fra ragione e fede, gli spessori della psiche, i fantasmi onirici, la visionarietà ora ansiogena, ora abbacinante, ora irresistibilmente comica, riuscivano a fondersi in un incredibile e meraviglioso equilibrio, non lasciando al lettore un attimo di pausa, né per annoiarsi né per riflettere; rifletterà dopo, e molto, perché Il Maestro e Margherita, come tutti i grandi romanzi, non gli uscirà più di mente.
Qual è l’idea, è presto detto: il diavolo, celato sotto il nome di Woland, arriva con la sua corte nella Mosca degli anni Venti, per affermare i valori del Male autentico, e quindi del Bene autentico, a fronte dell’ottusa sordità che alligna nella morta gora priva sia di valori che di disvalori cui è ridotta la società sovietica. Per farlo, sarà costretto ad aiutare il Maestro, rinchiuso in manicomio per aver scritto una vita di Ponzio Pilato in cui affermava che Gesù Cristo era realmente esistito. E nel frattempo costringerà la bellissima Margherita, che ama riamata il Maestro, a farsi strega e a guidare il gran Sabba, condizione ineludibile per ottenere la liberazione dell’amato. E via via così, di invenzione in invenzione, di sarcasmo in sarcasmo, fino a un gatto che spara revolverate all’impazzata, e a tre cavalli neri che scalpitano nella notte… Grande letteratura, e nient’altro.
Da Eugenio Montale:
“Il Diavolo è il più appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell’inesistenza di Dio. Il neovenuto non è di questo parere… Ma c’è ben altro: era anche presente al secondo interrogatorio di Gesù da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione in un capitolo che è forse il più stupefacente del libro… Poco dopo, il demonio si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme. I fatti che accadono sono cosi fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica… Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi: quello della Passione… È qui che Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol’ e Dostoevskij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo.”