[MT]Mirko Zilahy - È così che si uccide[Ebook-Pdf-Ita-Thriller]

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Titolo originale: È così che si uccide
Autore: Zilahy Mirko
1ª ed. originale: 2016
Data di pubblicazione: 2016
Genere: Romanzo
Sottogenere: Thriller
Editore: Longanesi
Collana: La gaja scienza
Pagine: 410






Mirko Zilahy, nato a Roma il 1 maggio 1974, ha vissuto nel quartiere di Montesacro fino al 1983 quando si è trasferito a Latina per seguire il lavoro del padre, nefrologo presso l’ospedale Santa Maria Goretti. Dopo il liceo classico, è tornato a Roma per l’Università Lingue e Letterature straniere, dove si è laureato, dopo aver gestito un pub, con una tesi su Dracula di Bram Stoker. Si è poi spostato in Irlanda per un dottorato di ricerca sullo scrittore Giorgio Manganelli. Al Trinity College di Dublino ha lavorato insegnando lingua e letteratura italiana. In seguito, al ritorno in Italia, ha lavorato per Fazi editore come redattore-aiuto editor della straniera nella casa editrice. Nel marzo 2014 è uscito nella sua traduzione Il Cardellino di Donna Tartt per Rizzoli (premio Pulitzer). Il mese successivo è diventato editor della narrativa straniera di Minimum Fax. È giornalista pubblicista e collabora con il Manifesto con recensioni letterarie. Oltre alla Tartt ha tradotto autori come Bram Stoker, Roger Boylan, Peter Murphy. È cultore di Letteratura inglese all’Università per Stranieri di Perugia. Vive nelle vicinanze del grande Gazometro con la compagna, Paola e due figli. È appassionato di calcio, arti marziali, hard rock, birra scura e Irlanda.
Il suo romanzo d'esordio E' Così Che Si Uccide è uscito nel gennaio 2016, ed è in corso di traduzione in Germania (Bastei Luebbe), Spagna (Alfaguara), Francia (Presses de la cité), Turchia (Dogan Egmont), Grecia (Patakis), Olanda (Xander).
Mirko Zilahy sta lavorando al seguito di E' Così Che Si Uccide che verrà pubblicato da Longanesi.




2016 - E' Così Che Si Uccide



La pioggia di fine estate è implacabile e lava via ogni traccia: ecco perché stavolta la scena del crimine è un enigma indecifrabile. Una sola cosa è chiara: chiunque abbia ucciso la donna, ancora non identificata, l’ha fatto con la cura meticolosa di un chirurgo. Enrico Mancini non è un commissario come gli altri. Si è specializzato a Quantico, lui, in crimini seriali. È un duro. Se non fosse per quella inconfessabile debolezza nel posare gli occhi sui poveri corpi vittime della cieca violenza altrui. È uno spettacolo a cui non riesce a riabituarsi. E quell’odore. L’odore dell’inferno, pensa ogni volta. Così, Mancini rifiuta il caso. Ma con il secondo omicidio che la città piomba nell’incubo. Messo alle strette, il commissario è costretto ad accettare l’indagine… Prima che il killer mostri a tutti – soprattutto a lui – che è così che si uccide.

Incipit:
1
Roma, lunedì 1º settembre, notte

Sopra l’alto reticolo d’acciaio, il disco freddo della luna era sfocato dall’acqua che il cielo scaricava sulla città. Sulla sponda del Tevere, tra le macerie dei vecchi stabilimenti Mira Lanza, un’ombra si mosse nell’intrico di arbusti. Per terra il segno di mille via vai, su e giù, dal rifugio sul lungotevere Gassman fino in strada. A passo svelto e col corpo piegato in avanti, si nascondeva allo sguardo delle finestre che davano sui ruderi chiusi tra il fiume e i palazzi di viale Marconi.
Faceva freddo quella sera. Era zuppo e affamato, e si era spinto fuori dalla sua tana, in strada, fino al fast food di via Stradivari, in cerca di avanzi o di qualche moneta. Ma la pioggia d’inizio settembre aveva costretto la gente in casa e quel giovedì non c’era nemmeno un cliente. Così aveva fatto il giro da dietro e aveva chiesto un panino al ciccione col cappello rosso impegnato negli ultimi tiri di una Camel senza filtro. Prima che potesse insistere, l’altro, quello rasato, con la birra in mano e la T-shirt nera, gli aveva urlato: «Ancora qui? E vattene, zingaro di merda!»
Il ragazzino aveva capito l’andazzo e s’era voltato per allontanarsi. Ma quelle risate e la botta alla schiena, un attimo prima che la bottiglia s’infrangesse per terra, l’avevano paralizzato per un istante. Poi, senza pensarci, era fuggito di corsa, sotto la pioggia, tornando indietro su quelle gambe sudice e magre. Al ponte di Ferro non aveva preso subito a destra per buttarsi nel folto dei cespugli familiari, ma era prevalsa la stizza di rincasare sconfitto, e aveva superato il ponte. Imboccando la strada di ghiaia era arrivato alle lamiere attorno agli eterni cantieri sul Porto fluviale.
Ed era entrato.
La pioggia s’infittiva velando la luce lunare oltre lo scheletro del grande Gazometro. Bagnati dal chiarore d’argento, i perni, le corone mobili, le travi anulari e le membrane pneumatiche trasformavano l’elevata struttura metallica in un mostro per metà edificio e per metà macchina, vestito di un’algida trama d’acciaio. Le gocce d’acqua, colte in sospensione e trafitte dal pallido bagliore, ne sfumavano i contorni, dando l’idea che quell’assurdo volume cilindrico fosse sul punto di muoversi, avvitandosi su se stesso.
Protetto da tre piccoli gazometri gemelli e da una miriade di fabbricati di cemento in rovina, il colosso ferroso vigilava sull’ansa del Tevere che ottant’anni prima aveva ospitato il polo industriale più grande e operoso della città. Le officine del gas, la centrale termoelettrica e l’antica dogana trovavano il proprio contrappunto sull’altra riva del fiume nelle armature scarnificate e nella ciminiera in mattoni del saponificio, nel deposito del grano del consorzio agrario e nei Mulini Biondi ormai in disuso.




Cosa succede quando i canoni letterari di un genere consolidato come il thriller vengono presi e stravolti da uno scrittore che ha in mente una scrittura e un disegno diversi?
Nelle librerie dal 4 gennaio 2016 per la casa editrice Longanesi, questa la sinossi:
Sulla tavola ci sono tutti gli ingredienti di un thriller, quegli stessi ingredienti che ne hanno già fatto un piatto apprezzato a livello internazionale: una città oscura, che offre la sua faccia più torva, fatta di acciaio, ruggine e pioggia. Un assassino seriale metodico, imprendibile, di ferocia chirurgica. Un commissario di straordinaria umanità, affiancato da una squadra in cui spiccano donne di grande acume e sensibilità. Ma questa volta in cucina c’è Mirko Zilahy, letterato e traduttore, studioso di Manganelli e traduttore di Donna Tartt. Ed è qui la sorpresa. Zilahy ha la sapiente capacità di farsi da parte e lasciare che siano i suoi personaggi – tre in particolare: il commissario Enrico Mancini, il killer senza nome e la città, Roma, anch’essa un personaggio vivo e palpitante – a fare la storia. Zilahy la racconta con una sorprendente mescolanza di registri, l’alto e il basso, l’action più travolgente accanto al misurato accostamento di lemmi selezionati con cura quasi ossessiva.
Così come Enrico Mancini non è un commissario come gli altri – tanto per cominciare, è un commissario che rifiuta i casi che si è addestrato a risolvere – anche Mirko Zilahy non è uno scrittore come gli altri.






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