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Description









Titolo originale: Acciaio
Autore: Silvia Avallone
1ª ed. originale:2010
Data di pubblicazione: 2010
Genere: Romanzo
Sottogenere: Formazione
Editore: Rizzoli
Collana: Scala italiani
Pagine: 357




Silvia Avallone è una giovane scrittrice esordiente nata a Biella nel 1984. Dopo gli anni del liceo, durante i quali ha anche vissuto a Piombino, Silvia si trasferisce a Bologna dove si laurea in Filosofia.
Amante della scrittura in ogni sua forma Silvia scrive molti racconti ma soprattutto molte poesie che sono state pubblicate su varie riviste tra le quali dobbiamo ricordare “ClanDestino” e “Nuovi Argomenti” . Alcune delle poesie scritte da Silvia in questo periodo sono state raccolte e pubblicate in un libro edito da Edizioni della Meridiana dal titolo “Il libro dei vent’anni” (2007).
Nel 2008 Silvia pubblica per Repley’s Film un saggio incentrato su Anna Magnani dal titolo “Un’attrice e le sue donne”.
Silvia esordisce all’inizio del 2010 nella narrativa con il romanzo dal titolo “Acciaio” anch’esso pubblicato con la casa editrice Rizzoli. Il romanzo è subito un successo capace di colpire il pubblico ma anche la critica tanto che entra subito tra i finalisti del Premio Strega 2010. Alcune voci affermano che proprio Silvia Avallone potrebbe essere la vincitrice di quest’anno, voci cha hanno portato con sè non poche polemiche.
Il mondo della critica infatti è diviso. Tutti riconoscono in Silvia Avallone un grande talento letterario ma molti critici vedono anche in lei una sorta di immaturità linguistica e una mancanza di sfrontatezza o di coraggio che dovrebbe essere invece presente soprattutto in un’opera d’esordio.
I limiti che alcuni critici vedono nella narrazione di Silvia Avallone non riescono però a fermare la sua ascesa. “Acciaio” entra subito nella classifica dei libri più venduti.
La narrazione di Silvia Avallone è spontanea, semplice e diretta. In essa le protagoniste del libro, due ragazzine di appena quattordici anni, si muovono con i drammi e le incertezze dell’adolescenza e della vita di periferia. Forse è proprio questa spontaneità ad aver regalato a Silvia un così grande successo.
Silvia vive attualemente a Bologna dove continua anche a studiare. Frequenta infatti il corso di laurea specialistica in lettere presso l’Università di Bologna.



2007 - Il libro dei vent'anni
2010 - Acciaio
2013 - Marina Bellezza


Premi del libro “Acciaio”:
- Vincitore del Premio Campiello 2010, categoria Opera Prima.
- Vincitore del Premio Flaiano 2010, sezione letteraria.
- Vincitore del Premio Fregene 2010.
- Secondo classificato al Premio Strega 2010, a 4 voti dal vincitore Antonio Pennacchi (Canale Mussolini).
- Secondo classificato al Premio Edoardo Kihlgren.



Di qua dal mare c'è via Stalingrado, una muraglia di case popolari modello Unione Sovietica, che l'amministrazione comunale comunista ha assegnato agli operai siderurgici che lavorano alla Lucchini. Di là dal mare invece c'è l'isola d'Elba, Ilva, un paradiso sognato e irraggiungibile popolato da ricche signore lombarde in vacanza. In mezzo, proprio in riva al mare, ci sono Anna e Francesca. Lascive, la bionda e la mora di "tredici anni quasi quattordici", vivono la loro ultima estate di innocenza prima del liceo. A giudicare da come giocano tra le onde, da come si muovono davanti allo specchio imitando le soubrette della TV… a giudicare solo dall'aspetto, come fanno in molti, si direbbero capaci di arrivare molto lontane, quelle due ragazzine. Ma in una periferia operaia come quella di Piombino, schiacciata sotto la coltre di fumo dell'altoforno, non si può prevedere il futuro di una persona in base all'aspetto o alle ambizioni. Per conoscere la storia di Anna e Francesca non basta guardare le loro forme giovani e perfette e il loro sguardo arrogante, bisogna conoscere la storia delle loro famiglie, dei fratelli, fidanzati, amici e poi naturalmente della Lucchini.
Ad esempio Sandra e Arturo, i genitori di Anna: lei è una femminista e un'attivista di Rifondazione e nonostante la stanchezza e il tedio di tutto il quartiere continua con la distribuzione del giornale. Lui naturalmente lavora all'acciaieria, ma ancora per poco, perché in realtà Arturo è un uomo fantasioso, un artista che vorrebbe spendere il suo tempo altrove, fare la bella vita, lanciarsi nel business, sparire, poi tornare e magari sparire di nuovo…
I genitori di Francesca invece, purtroppo, non vanno più da nessuna parte. Sua madre, casalinga di origini calabresi, passa il tempo a soddisfare le assurde richieste di un marito insoddisfatto e violento. Lei, Rosa, dimostra venti anni in più della sua età e piange in silenzio tutte le sere, sia quando i colpi sono per lei, sia quando il rumore delle botte arriva dalla stanza di Francesca.
Vista da dentro, dopo aver ascoltato le urla che attraversano le porte, dopo aver guardato da vicino gli angoli dei cortili e sentito gli odori delle strade, via Stalingrado non è solo il quartiere degli operai. È anche un posto in cui il futuro dura un attimo, giusto il tempo perché un nuovo colpo inatteso ti venga sferrato contro.
Alessio, Cristiano, Mattia, Anna, Francesca, Lisa e le altre ragazze, tutti i protagonisti di questa storia sono immobili e distanti, sopraffatti dalla violenza del ciclo continuo della produzione, eppure capaci di amarsi intensamente. Sono ragazzi capaci di tutto e di niente: di fuggire di notte per fare l'amore dietro una barca e di rimanere indifferenti quando la più grande struttura in acciaio al mondo, le torri gemelle, si sgretolano sotto i loro occhi in diretta televisiva. Una storia crudele e tenera in cui tutto è assurdamente vero. È vero che a quindici anni puoi lasciare la scuola per andare a fare la vita, che la polizia può entrare in casa tua e buttare per aria tutto perché cerca una prova di colpevolezza, è assurdamente vero che di lavoro si vive ma si muore anche, che il salario a volte non basta neanche per la cocaina, che un padre può darti la vita e può anche togliertela, che un bacio è sempre un bacio, anche se chi te lo dà è la tua migliore amica.
Un romanzo d'esordio che parla di un'adolescenza mai vissuta, vinta, arresa, fusa come l'acciaio a 1538 gradi. Che parla dell'età dell'entropia e del caos, quando i legami, anche quelli più forti, si spezzano e nell'aria, a ricoprire l'Elba, resta solo una densa nube rossastra.


Incipit:
Parte prima
Amiche del cuore
1

Nel cerchio sfocato della lente la figura si muoveva appena, senza testa.
Uno spicchio di pelle zoomata in controluce.
Quel corpo da un anno all'altro era cambiato, piano, sotto i vestiti. E adesso nel binocolo, nell'estate, esplodeva.
L'occhio da lontano brucava i particolari: il laccio del costume, del pezzo di sotto, un filamento di alghe sul fianco. I muscoli tesi sopra il ginocchio, la curva del polpaccio, la caviglia sporca di sabbia. L'occhio ingrandiva e arrossiva a forza di scavare nella lente.
Il corpo adolescente balzò fuori dal campo e si gettò in acqua.
Un istante dopo, riposizionato l'obiettivo, calibrato il fuoco, ricomparve munito di una splendida chioma bionda. E una risata così violenta che anche da quella distanza, anche soltanto guardandola, ti scuoteva. Sembrava di entrarci davvero, tra i denti bianchi. E le fossette sulle guance, e la fossa tra le scapole, e quella dell'ombelico, e tutto il resto.
Lei giocava come una della sua età, non sospettava di essere osservata. Spalancava la bocca. Cosa starà dicendo? E a chi? Si iniettava dentro un'onda, riemergeva dall'acqua con il triangolo del reggiseno in disordine. Una puntura di zanzara sulla spalla. La pupilla dell'uomo si restringeva, si dilatava come sotto l'effetto di stupefacenti.
Enrico guardava sua figlia, era più forte di lui. Spiava Francesca dal balcone, dopo pranzo, quando non era di turno alla Lucchini. La seguiva, se la studiava attraverso le lenti del binocolo da pesca. Francesca sgambettava sul bagnasciuga con la sua amica Anna, si rincorrevano, si toccavano, si tiravano i capelli, e lui lassù, fisso con il sigaro in mano, sudava. Lui gigantesco, con la canotta fradicia, l'occhio sbarrato, impegnato nella calura pazzesca.
La controllava, così almeno diceva, da quando aveva cominciato ad andare al mare con certi ragazzi più grandi, certi elementi che gli ispiravano nessuna fiducia. Che fumavano, che di sicuro si facevano anche le canne. E quando lo diceva alla moglie, di quegli sbandati che frequentava sua figlia, gridava come un ossesso. Si fanno le canne, si fanno di coca, spacciano le pasticche, quelli là si vogliono scopare mia figlia! Quest'ultima cosa non la diceva esplicitamente. Tirava un pugno sul tavolo o nel muro.
Ma forse aveva preso l'abitudine di spiare Francesca da prima: da quando il corpo della sua bambina si era come desquamato e aveva assunto gradualmente una pelle e un odore preciso, nuovo, forse, primitivo. Aveva, la piccola Francesca, cacciato fuori un culo e un paio di tette irriverenti. Le ossa del bacino si erano arcuate, formando uno scivolo tra il busto e l'addome. E lui era il padre.
In quel momento osservava sua figlia dimenarsi dentro il binocolo, slanciarsi con tutta se stessa in avanti per acchiappare una palla. I capelli zuppi aderivano alla schiena e ai fianchi, alla distesa della pelle intarsiata di sale.



Acciaio è uno di quei romanzi che ti riconciliano con la letteratura italiana contemporanea. Mentre scorri le pagine assorto nella lettura commenti a voce alta: “Non è vero che il romanzo è morto”, “Si scrivono ancora le storie”, “Non è finito il tempo di raccontare i sentimenti”. Era dalla lettura di romanzi come Lo schiaffo e Alla larga dai comunisti, entrambi di Luigi Carletti – editi da Baldini e Castoldi nel 2008 e nel 2009 – che non m’imbattevo in una così evidente capacità di raccontare storie, in questo caso ancor più sorprendente perché l’autrice ha soltanto venticinque anni.
Acciaio di Silvia Avallone è un romanzo di formazione che attualizza la lezione di Salinger e del suo fondamentale Giovane Holden. Racconta la storia della profonda amicizia tra Francesca e Anna, due ragazzine di tredici anni che diventano donne in una provincia depressa popolata da operai siderurgici, adulti disillusi bruciati da troppe sconfitte e ragazzi che sognano la fuga. Piombino è il palcoscenico degradato su cui recitano i personaggi, sempre curati e credibili, mai ridotti a stereotipi e a macchiette fumettistiche. Una via Stalingrado di pura fantasia – localizzabile nel quartiere periferico di mare noto come Salivoli e identificabile nel rione operaio dei Lombriconi - presenta casermoni in stile sovietico dove vivono operai della Lucchini, famiglie marginali, piccoli spacciatori, ladruncoli, perdigiorno, studenti e ragazzi che in estate popolano la piccola spiaggia davanti all’Isola d’Elba. Silvia Avallone sceglie di dare un nome di fantasia al teatro principale delle vicende perché rappresenta in un luogo geografico definito la vita problematica di ogni piccola città bastardo posto di gucciniana memoria. Non é Piombino l’obiettivo, ma la provincia italiana che cambia e la vita che pulsa lontana, distante milioni di anni luce dalle speranze dei giovani.
Ecco via Stalingrado a giugno, bruciata dal sole, descritta dalla penna ispirata di Silvia Avallone: Da una parte c’era il mare, invaso di adolescenti in quell’ora bestiale. Dall’altra il muso dei casermoni popolari. E tutte le serrande abbassate lungo la strada deserta. Il mare e i muri di quei casermoni sotto il sole rovente del mese di giugno, sembravano la vita e la morte che si urlavano contro. Non c’era niente da fare: via Stalingrado, per chi non ci viveva, vista da fuori, era desolante. Di più: era la miseria.
L’autrice riesce a raccontare la disillusione di una generazione che non crede più a niente e non si entusiasma per la politica, soprattutto non trova una via di fuga lottando per un ideale ma soltanto costruendosi un mondo irreale. Silvia Avallone racconta la droga presa nei cortili dei palazzi per noia, abitudine, per trovare il coraggio di affrontare un lavoro che distrugge la vita, per sentirsi uomini e affrontare una serata in discoteca o in un night a caccia di emozioni.
Il tema principale è l’amicizia tra due ragazzine, una bionda e l’altra mora, entrambe di una bellezza solare e sfacciata che vedono crescere i corpi femminili sotto lo sguardo interessato degli uomini. Un’amicizia che sfocia nel rapporto lesbico, appena sfumato dall’autrice che non calca la mano sui momenti morbosi e racconta con grazia i sentimenti, ma subito dopo muore per futili incomprensioni e gelosie, forse perché i loro giochi di ragazzine si sono spinti oltre il consentito. Francesca tenta di sostituire l’amica con Lisa, ma non è la stessa cosa, comincia un percorso di autodistruzione che la porterà a perdere la propria giovinezza sul palcoscenico del Gilda, un night club dove ballerà nuda e si concederà alle voglie represse di un pubblico di operai che sfoga le frustrazioni nel sesso.
Silvia Avallone ha una capacità descrittiva tipica solo dei grandi scrittori, perché riesce a catturare i sentimenti nelle frasi e a comunicare sensazioni descrivendo luoghi con un tono a metà strada tra l’elegiaco e il poetico. Il complesso di quattro casermoni da cui piovono pezzi di balcone e di amianto in un cortile dove i bambini giocano accanto a ragazzi che spacciano e vecchie che puzzano è il luogo dove si dipanano le esistenze dei protagonisti. Uomini e donne che si fanno un’idea del mondo restandone ai margini, credendo normale non andare in vacanza, non andare al cinema, non sfogliare il giornale e non leggere libri. Troviamo persino una citazione de La pioggia nel pineto di dannunziana memoria che costruisce una cadenza di eventi intorno a un tragico incidente avvenuto sotto la pioggia. La descrizione degli operai siderurgici e dei luoghi dove vivono è certosina, paziente, evoca sentimenti e ricordi.
Il Cotone, il quartiere dell’acciaio. Nudo come una tomba. Non una panetteria, un alimentari, un’edicola. Forse la serranda abbassata di un’officina. Lo spolverino prodotto dal carbone te lo sentivi entrare nei polmoni, appiccicarsi addosso, annerire la pelle.
Silvia Avallone racconta l’adolescenza, un’età potenziale dove tutto può ancora accadere e ogni possibile strada da prendere è ancora aperta, ma non scrive un facile romanzo giovanilistico alla Moccia che strizza l’occhio agli adolescenti. Acciaio è un romanzo problematico che parla di padri violenti che picchiano figlie disinibite ma sono loro i primi cattivi esempi, racconta di genitori assenti che fuggono da un destino operaio per trafficare in opere d’arte rubate e denaro falso, descrive il dramma delle morti sul lavoro in un’industria siderurgica, narra la perdita dei valori di una società che non crede più a niente, a parte sesso e denaro. I ragazzini sono la speranza, come diceva Pasolini, ma pure loro si perdono, purtroppo, perché diventano uomini e donne. Un romanzo pervaso da un pessimismo di fondo e da un andamento malinconico, come una poesia di Giovanni Pascoli o una ballata di Fancesco Guccini, ma che si legge con passione dalla prima all’ultima pagina, parteggiando per i protagonisti e fremendo per le loro vicissitudini. Acciaio appassionerà gli adolescenti che ci rivedranno la loro vita e tutte le persone che cercano in una storia la cruda realtà della vita quotidiana. Non piacerà a chi cerca l’elegia provinciale, il mito del cantuccio d’ombra romita, rifugio tranquillo dove stemperare i problemi quotidiani. La provincia toscana non è più così. Una raccomandazione: non fateci un film perché distruggerete l’incanto e la poesia della pagina scritta, non riproducibile dallo scarso mestiere di certi registi italiani contemporanei che seguono le orme di Moccia e Muccino. A meno che non si scoprano nuovi emuli di Pasolini e Germi, capaci di farsi cantori di un’epopea ambientata ai tempi in cui la classe operaia non può andare in Paradiso.
Silvia Avallone ha venticinque anni ed è al suo primo romanzo.
Al contrario dei suoi protagonisti – ha trovato la sua strada.





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