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FONDAZIONE DELLA REPUBBLICA
Dixit Storia150 Anni




:::-Scheda tecnica del filmato -:::


Titolo: Fondazione della Repubblica
Emittente: Rai Storia
Trasmesso il: 20/03/2011
Genere: documentario
A cura di: Giovanni Minoli
Audio: Italiano
Sottotitoli: n.d.


:::- Verso la Costituente -:::

Durante il periodo del suo “esilio in patria”, Ruini, estromesso dalla vita politica, si era dedicato allo studio di problemi costituzionali auspicando e disegnando una grande riforma dell’ordinamento allo spirare del regime.
L’esigenza di sostituire lo Statuto Albertino che “per quasi un secolo, si era prestato alle più varie interpretazioni ed applicazioni” e che aveva consentito l’instaurazione del regime fascista fu, in quel periodo, sentita anche da altri studiosi, i quali, tuttavia, “si rinserravano nella teoria pura del diritto”..

Il metodo utilizzato dal politico reggiano, invece, era differente e ne sono prova gli appunti e gli schemi in seguito pubblicati: il Ruini, con un considerevole lavoro di ricerca e di analisi, comparando gli ordinamenti di numerose e diverse nazioni, affrontò concretamente i problemi cercando di superare gli “ostacoli cartacei” necessari all’attuazione della grande riforma costituzionale.

Gli argomenti affrontati ed esaminati negli appunti sono i più disparati: si va dal concetto stesso di Costituzione (“la base dell’ordinamento giuridico dello Stato; l’intera struttura, onde si organizza e si esplica il potere sovrano dello Stato, indipendentemente tanto dalle modalità che la Costituzione può assumere, quanto dal riconoscimento di questo o di quel governo” ) alla sua forma (“Tutte le nuove Costituzioni di oggi sono scritte. Ma non vi è nessuna Costituzione che possa prevedere e scrivere tutti i casi possibili. Esiste sempre una parte di Costituzione non scritta; e, per quanto la tendenza sia di ridurla al minimo, non conviene spingersi fino agli estremi, con caratteri ideologici ed ipotesi di omniprevisione” ); e dalla necessità di introdurre diritti e doveri dei cittadini (“Nulla per verità è più sentito, come bisogno reale e concreto, dopo un’esperienza dolorosamente vissuta. Sono necessità pratiche, a cui bisogna dare attuazione nel modo più concreto possibile, come istituto politico e norma di vita” ), fino alla forma dello Stato (“Nel Parlamento sembrano raccogliersi le funzioni di rappresentanza del popolo. Ma quando il Capo dello Stato è elettivo, si riflettono anche in lui funzioni ed aspetti, che apparivano riservati al Parlamento; e si rendono possibili rapporti di equilibrio, ricondotti al comune concetto della derivazione del popolo” ).

Un più diffuso bisogno di sostituire alla “fittizia Costituzione” (lo Statuto) una Costituzione reale si avvertì solamente quando il fascismo smise di avere, nei confronti dello Statuto, anche i riguardi formali, ossia quando l’elasticità della Carta concessa da Carlo Alberto permise alla dittatura di trasformare le istituzioni previste da una costituzione liberale in un regime che di liberale non aveva alcuna parvenza.

Ruini si dedicò alla stesura di quegli appunti, resi pubblici solamente quando il Comitato di Liberazione Nazionale diventò governo, che, pur essendo soltanto un “presagio” di ciò che sarebbe stata la futura Costituzione, avrebbero delineato reali prospettive di soluzione per la redazione della Carta Fondamentale.

:::- La nascita della Costituzione - L'assemblea -:::

Il 2 giugno 1946, gli elettori furono chiamati ad esprimersi, ad un tempo, sulla scelta monarchia-repubblica e sull’elezione dell’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere e approvare la nuova Costituzione.

Secondo Ruini giungeva adesso quel “periodo aperto della liberazione, e poi della ricostruzione” che succedeva “ai lunghi mesi di clausura lateranense nei quali, mentre si organizzava la resistenza, si pensava all’avvenire del paese anche per la sua costituzione”; ciò che bisognava fare era “ricostruire alle basi anche l’ordinamento costituzionale”.

Gli esiti del voto delinearono il reale panorama politico italiano del momento: la Democrazia Cristiana assumeva peso preponderante e, sul versante avverso, il Partito Comunista si manifestava come il suo vero antagonista. Forza rilevante conservava il Partito Socialista, mentre si determinava la scarsa consistenza di partiti minori (Partito d’Azione, repubblicani, ecc.), che pure avevano partecipato attivamente al C.L.N. All’“esarchia” che aveva caratterizzato il C.L.N. si sostituì il “tripartitismo” ed ebbe inizio il confronto diretto tra marxisti e cattolici, segno indelebile nella storia politica repubblicana.

Per quanto riguarda la composizione interna delle varie forze, si può constatare che vi fu continuità con la classe dirigente che aveva guidato l’opposizione al fascismo, prima nella Resistenza, poi nei C.L.N. : così, tra i Costituenti , si ritrovarono gli esponenti politici più invisi al regime e da questo perseguitati (Parri, Pertini, Togliatti, Nenni), alcuni ex-capi partigiani (Boldrini, Moscatelli), gli organizzatori della clandestinità (De Gasperi, Basso, La Malfa), gli esponenti del mondo culturale e politico di opposizione al regime (Ruini, Orlando, Mortati, Calamandrei). La matrice “antifascista” comune fu uno dei principali fattori di colleganza tra gli eletti, al di là dei confini di partito.

L’Assemblea si insediò il 25 giugno 1946 ed elesse suo Presidente Giuseppe Saragat ; il 28 giugno nominò Capo Provvisorio dello Stato il liberale Enrico De Nicola.

Secondo la legge istitutiva l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto darsi un proprio regolamento interno utilizzando, nel frattempo, quello della Camera dei Deputati ; in realtà, il consesso rinunciò ad ordinare autonomamente la propria attività . Le conseguenze furono molteplici: non furono influenzati solo i metodi di votazione (ne furono favorite le richieste di scrutinio segreto), ma anche lo svolgimento dei lavori, caratterizzato dalla strutturazione in Commissioni preparatorie rispecchianti la proporzione dei gruppi parlamentari (= partiti); questa caratteristica divenne un tratto essenziale nel percorso di formazione della Carta Costituzionale.

Pochi giorni dopo, il 28 giugno, il Ministro per la Costituente, Pietro Nenni, consegnò all’Assemblea il lavoro della Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato (che, per facilitare lo svolgimento dell’incarico, si era suddivisa in sottocommissioni: per i problemi costituzionali, per l’organizzazione dello Stato, per le autonomie locali, per gli enti pubblici non territoriali).

La durata dei lavori dell’Assemblea inizialmente prevista era di otto mesi (secondo la legge istitutiva, cioè la “seconda Costituzione provvisoria”); successivamente, nel 1947, il termine fu prorogato per ben due volte.

:::- La “Commissione dei 75” -:::

Soddisfatte le prime formali esigenze organizzative, l’Assemblea affrontò, in una delle sue prime sedute, il problema della regolamentazione della propria attività; la stessa legge istitutiva dell’Assemblea aveva indicato, all’art. 4: “Finché non avrà deliberato il proprio regolamento interno, l’Assemblea Costituente applicherà il regolamento interno della Camera dei Deputati in data 1 luglio 1900 e successive modificazioni fino al 1922”.

L’assemblea decise, invece, di mantenere in vigore quel regolamento e diede in carico alla “Giunta per il Regolamento” di proporre le modifiche temporanee al regolamento della Camera dei Deputati richiesta dalla specificità dell’attività costituente.

Nella seduta del 15 luglio 1946 la Giunta presentò all’Assemblea una propria relazione nella quale si indicavano quelli che sarebbero stati i criteri informatori delle modifiche: “L’Assemblea dovrà decidere l’istituzione di una speciale Commissione, sua diretta emanazione, che avrà il compito di elaborare, redigere e presentare il testo del progetto e la relazione dell’Assemblea. La Commissione medesima potrà provvedere alla ripartizione dello studio dei vari gruppi di materie tra i suoi membri, procedendo alla costituzione di singole Sottocommissioni. […] La Commissione sarà composta di 75 deputati, provvederà alla sua costituzione nominando il presidente, tre vicepresidenti e tre segretari, e presenterà il testo del progetto e la relazione entro tre mesi dal suo insediamento” .

Un intervento di rilievo nella discussione dell’art. 1 fu quello dell’On. Gronchi: richiamando l’art. 14 della Costituente francese, che prevedeva la costituzione di una Commissione “per preparare le deliberazioni dell’Assemblea in materia costituzionale” , egli propose, insieme all’On. Togni, in sostituzione del primo comma dell’art. 1 proposto dalla Giunta, l’emendamento: “L’Assemblea nomina la Commissione incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione” .

Venivano così omessi i termini “redigere e presentare” che, a giudizio dei due deputati, potevano lasciare intendere una “delega definitiva” alla Commissione o, quantomeno, l’incarico di una formulazione precisa e minuziosa che avrebbe svuotato di contenuto il dibattito in Aula . L’emendamento, sottoposto al voto dell’Assemblea, fu approvato a maggioranza e sostituì la dizione proposta dalla Giunta.

La proposta di eleggere i membri della Commissione col sistema di voto limitato a due terzi degli eligendi fu subito accantonata per il pericolo che un accordo tra i grandi partiti eliminasse la rappresentanza di quelli minori. Dopo alcuni chiarimenti forniti dal Presidente Saragat sulle normali procedure parlamentari per la nomina delle commissioni, l’Assemblea gli diede incarico di procedere alla nomina dei membri della Commissione, nel rispetto delle proporzioni tra i gruppi parlamentari (in realtà, si trattò di una vera e propria designazione da parte dei partiti) .

Il 19 luglio l’On. Saragat informava l’Assemblea di aver proceduto alla composizione della Commissione Costituente.

Ruini avrebbe preferito una Commissione con un minore numero di membri: “La Commissione era numerosa: di 75 membri. Avevo desiderato che fosse soltanto di 25; ed in ogni modo non più di 45; che è un numero quasi classico, perché fu quello della Commissione che redasse la più bella Costituzione del mondo, la nordamericana, un secolo e mezzo fa; e poi trent’anni fa della weimariana; ed ora di quella per la Costituzione più recente, la francese”. E ancora: “Forse [75 erano] troppi, ma le varie tendenze chiesero ed ebbero una loro rappresentanza, e si attuò così un reiterato e veramente utile esame”.

L’Assemblea, nell’affidare a 75 deputati su 556 il compito di preparare il progetto di Costituzione, di fatto esautorava gli esclusi, nel periodo dal giugno 1946 al marzo 1947, dal lavoro costituente, costringendo la stessa Assemblea ad uno stato di quasi inattività.

Il tempo concesso alla Commissione per portare a termine il proprio progetto venne prorogato per due volte [44] ; il Presidente Saragat, nel corso della seduta del 10 dicembre 1946, commentò questo allungamento dei tempi dicendo: “Tutti sanno che, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi, noi non abbiamo avuto un progetto preliminare, né governativo, né di singoli gruppi, epperò la Commissione ha dovuto creare ex novo, il che, d’altra parte, giova a conferire al suo studio e al suo lavoro tanta maggiore autorità in quanto assicura la diretta ed autonoma espressione delle varie correnti politiche rappresentate nell’Assemblea”.

Il 20 luglio 1946 Saragat diede comunicazione delle decisioni prese dalla stessa nella sua prima riunione in merito all’elezione del Presidente (Ruini), dei tre Vicepresidenti (Terracini, Ghidini e Tupini) e dei tre Segretari (Marinaro, Grassi e Perassi).

La Presidenza della Commissione fu affidata a Meuccio Ruini, che godeva di indiscusso prestigio presso tutte le forze politiche anche sotto il profilo tecnico (in quel periodo era Presidente del Consiglio di Stato); la mediazione tra le fazioni caratterizzò anche la designazione alle altre cariche, che furono ripartite tra i rappresentanti dei maggiori partiti politici (significativamente, le vicepresidenze furono assegnate a Ghidini del PSIUP, a Tupini della DC e a Terracini del PCI).

Può darsi, che all’atto della sua formazione, si fosse pensato di attribuire alla Commissione dei “75” un ruolo principalmente tecnico, riservando all’Assemblea le grandi scelte politiche; l’intenzione (se vi fu) venne immediatamente, travolta dai fatti [46] : il rigoroso rispetto del principio proporzionale e la qualità delle persone designate dai partiti spostarono l’asse politico all’interno della Commissione. Come sottolineò Ruini: “...vi erano i capi, i dirigenti di quasi tutti i partiti; vi erano gli esponenti delle organizzazioni operaie e dell’associazione delle società per azioni; vi erano i giuristi, il fiore dei costituzionalisti italiani; vi erano economisti.....Non era una Commissione di incompetenti”. Alla discussione e alla elaborazione del testo presero parte Costituenti non membri dei 75; “basterebbero due nomi: Orlando, decano dell’Assemblea ed il nostro più grande maestro di diritto costituzionale fece interventi penetranti ed un elogio conclusivo troppo bello («Questa Costituzione è un miracolo»); Nitti, con la sua mordace e tenace, ma appassionata collaborazione”. Il lavoro (di progettazione) dei giuristi, in particolar modo nella seconda Sottocommissione, fu filtrato dai leader dei partiti politici nella Commissione.

I lavori della Commissione cominciarono effettivamente il 23 luglio. Nella scelta di metodi che conciliassero risparmio di tempo ed adeguata ponderazione influì, in misura notevole, il Presidente della Commissione: il suo era, in effetti, l’incarico che consentiva ad un singolo parlamentare di esercitare la maggior influenza sul lavoro costituente; ovviamente, data la sua forte personalità, avrebbe dovuto tener conto degli orientamenti, anche di metodo, assunti dalle rappresentanze dei maggiori partiti presenti all’Assemblea.

Ruini cercò subito di imprimere all’attività un ritmo efficiente e di tracciare le linee generali del lavoro da compiere; si rifiutò di pronunciare il discorso di insediamento (“qui non si devono fare discorsi, ma soltanto osservazioni e proposte concrete”), indicò subito alcuni temi pregiudiziali, sottolineò l’esigenza di giungere a una Costituzione “piana, semplice, comprensibile anche alla gente del popolo”.

Immediatamente cominciarono a definirsi le linee che lo schema della nuova Costituzione avrebbe assunto: la fase di progettazione generale non comportava solamente la determinazione delle caratteristiche che ogni forza politica voleva dare alla Carta (condanna del regime fascista per le sinistre, affermazione di libertà concretamente tutelabili per il PCI, pluralismo giuridico per la DC), ma anche l’organizzazione dei lavori, che necessariamente dovevano spaziare su materie vastissime, rivestiva un aspetto importante per le future deliberazioni.

Si distinse subito tra i componenti il giovane Giuseppe Dossetti il quale presentò una mozione d’ordine su un progetto per il regolamento dei lavori: la Commissione avrebbe dovuto suddividersi in tre Sottocommissioni per la trattazione di altrettanti delimitati problemi; questo non avrebbe comunque impedito la discussione da parte della Commissione stessa.

La proposta fu approvata.-

:::- Le sottocommissioni -:::

La delega politica, senza riserve, sulla struttura ed organizzazione del testo costituzionale, concessa dall’Assemblea alla Commissione per la Costituzione, non si esaurì con la formazione della Commissione stessa: nelle prime riunioni prima della pausa estiva, infatti, la Commissione affrontò il problema dell’ordine dei suoi lavori e rinunciò ad una discussione generale sul testo.

Nello stesso tempo, stabilì la formazione di tre Sottocommissioni, alle quali trasferì il compito di elaborare la materia costituzionale, senza indicare preventivamente alcun criterio guida: la prima, presieduta da Tupini, si sarebbe occupata di diritti e doveri dei cittadini; la seconda (ripartita in due sezioni e formata da 38 membri, anziché 18 come le altre), con presidente Terracini, ebbe competenza sull’ordinamento costituzionale; la terza, con a capo Ghidini affrontò i diritti e doveri economico-sociali. Ruini partecipava ai lavori di tutte senza essere membro di nessuna in particolare.

Dopo aver stabilito che i punti di disaccordo tra le Sottocommissioni sarebbero stati rinviati, per la decisione finale, alla Commissione plenaria, tutti si trovarono d’accordo che si stessero investendo le Sottocommissioni di un mandato politico e, di conseguenza, si decise di comporle sulla base dei rapporti di forza che si erano delineati tra le fazioni in Assemblea (anche con un solo componente, fu assicurata la partecipazione dei partiti minori), contro la proposta di chi, come l’On. Lucifero, ritenendo il lavoro delle Sottocommissioni semplicemente preparatorio, intendeva lasciare alla libera valutazione dei deputati la scelta della Sottocommissione a cui appartenere.

Quale parziale correttivo alla ridotta importanza numerica che avevano i partiti minori, si convenne che i deputati avrebbero potuto partecipare anche alle riunioni di altre Sottocommissioni, previa comunicazione e richiesta ai Presidenti delle stesse.

Per la parziale sovrapposizione di attribuzioni tra la prima e la terza Sottocommissione fu istituito un comitato di coordinamento (trasformato nel novembre 1946 nel Comitato di Redazione), diretto dal Presidente Ruini, il quale non era entrato in nessuno degli organismi, riservandosi, però, di assistere come “spettatore” alle sedute.

L’attività delle Sottocommissioni fu rilevante: il sistema dei relatori per i principali argomenti da trattare o la ulteriore suddivisione in comitati ristretti consentì di procedere speditamente; l’opera della Commissione Forti presso il Ministero per la Costituente e la partecipazione di alcuni dei Costituenti (Mortati, Perassi, Calamandrei, Terracini, ecc.) alla sua realizzazione formò la base per alcune relazioni.

Non va sottovalutato l’apporto dato dai dibattiti in seno alla Consulta, istituita nel 1945 per supplire all’assenza di un organo di diretta derivazione popolare nell’ultimo periodo della fase transitoria: nonostante la limitatezza dei suoi poteri, gli orientamenti espressi su progetti di legge o problemi di carattere generale furono acquisiti in sede costituente.

Contribuirono, tra l’altro, alla creazione della Carta, le esperienze costituzionali straniere più importanti che attrassero soprattutto l’attenzione degli specialisti, ma che furono comunque conosciute dai Costituenti italiani: la Carta di Weimar, la Carta staliniana, la Costituente francese. Quest’ultima si sviluppò quasi contemporaneamente (la Carta d’oltralpe é del 1946): la “parentela” tra i due testi prodotti é sottolineata da numerosi studiosi alla luce delle analoghe correnti di pensiero che, nel periodo postbellico, circolavano in Italia e Francia: come principali vie di uscita dalla crisi della guerra, spiccavano il marxismo e il “personalismo cristiano”, il quale riprende, in forma corretta, l’individualismo dell’età liberale. Le somiglianze nei presupposti si sono poi tradotte in similitudini nei testi: entrambe le Carte si qualificano come Costituzioni “lunghe e dettagliate” (Ruini criticò tale scelta dicendo che nel testo mancava solo: «La Repubblica garantisce e mette nella Costituzione l’orario dei treni» ) e “di compromesso” tra l’interventismo e il liberalismo “cristiano”.

Il clima discreto e appartato, senza forme di pubblicità diretta (le tracce rimaste si limitano a semplici resoconti dell’attività della Commissione dei “75” e delle tre Sottocommissioni), sull’esempio dei “padri” della Costituzione statunitense, e l’agilità delle strutture favorirono il dialogo tra le forze politiche per raggiungere i punti d’incontro: “le questioni più importanti, - diceva Calamandrei - prima che nelle riunioni della competente Sottocommissione, furono risolte nei corridoi”.

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